Non è stato Ibanez, ma Mourinho. Il derby brutto ma efficace della Lazio non comincia dal pallone sciagurato di Ibanez. L’episodio pesa, ma si è giocato fino al minuto 100: non è il difensore ad aver regalato la stracittadina alla Lazio, anche se di certo sarà oggetto di brindisi di amore per i prossimi sei mesi. La Lazio ha preparato la gara così, l’ha messa in campo con ordine, diligenza, sacrificio, ma soprattutto concentrazione altissima, anche nei momenti fisici, concitati. Ha giocato il derby come andava giocato. È stato Sarri ad aver vinto, e Mourinho perso. Ha perso perché non si è mai occupato davvero di fare gioco e calcio. Organizzazione e fisico, con delega di inventare alle stelle. Schermaglie verbali, conferenze da manuale. Che però non sempre servono a vincere le partite, se manca il resto.
PARTITA BRUTTA – La partita è stata brutta, dobbiamo dircelo con grande onestá. Senza Immobile e Milinkovic, Dybala e Pellegrini, la qualità è sembrata un accessorio non necessario da subito. Non c’era spazio per qualità eccelsa, leziosismi, uscite palla delicate. Il derby non è stato questo. Questa partita rientra nel ricco filone di derby nervosi, strascicati, duri, senza grandi azioni, bloccati. Non ho dubbi che il successo della Lazio sia stato apparecchiato da Ibanez, ma anche da due anni di insistente ricerca di tutto, meno che di idee, gioco, spunti offensivi. Mourinho ha versato lo spumante dei festeggiamenti nel calice di Sarri, in una settimana in cui aveva solo ingoiato fiele, disgrazia, eliminazione e beffa.
IL DERBY DI SARRI – Sarri ha scritto un derby come si deve scrivere: l’ha preparato a puntino, spingendo il suo pressing fin nel cuore dell’area, puntando la qualità non eccelsa dei centrali giallorossi. Ha approfittato della qualità bassa della Roma in molti ruoli (perdendo Pellegrini, qualità ancora più bassa), e quando si è trattato di battagliare, i suoi si sono fatti trovare pronti, pur contro una squadra, quella di Mourinho, che ha nella fisicità, nei calci piazzati e nella gestione della partita punti di forza importanti. Come ha scritto qualcuno su Twitter, Sarri può giocare un derby da Mourinho, ma il contrario non può mai succedere. I ragazzi di Sarri hanno dato ai laziali in pasto il derby che ogni tifoso vorrebbe: cattivi su ogni pallone, duri, senza fronzoli e con la testa alta, sempre, e tutte le cose sferiche fieramente al posto giusto.
IL DERBY DEI ROMAGNOLI – Questo è stato il derby di Ibanez, ma soprattutto di Romagnoli e Casale, che hanno messo a nudo l’incosistenza imbarazzante di Abraham, una specie di grosso ostacolo ambulante, non un vero attaccante, la vacuità di Belotti, più rugbista che altro, e in generale messo toppe ovunque. Perfino su quei fondamentali in cui i due centrali della Lazio regalavano centimetri o fisicità, comunque hanno sopperito con esperienza, ordine, pulizia, attenzione massima. E carisma, nel caso di Romagnoli, che ha saputo trarre il meglio da ogni situazione, dentro e fuori l’area di rigore. Questo è stato il derby di Cataldi con la fascia di capitano al braccio e di Zaccagni e Pedro in profondi ripiegamenti difensivi, quasi fino alla linea di fondo.
IL DERBY DI GRUPPO – Questo è stato il derby di Radu che ha ricordato a tutti, cosa significa esperienza e come si fa perdere tempo ad una squadra fumantina e sanguigna, è stato il derby dei giovanissimi Cancellieri e Romero che hanno profuso impegno, distratto e punzecchiato, e ci hanno messo del loro in una partita ad altissima tensione emotiva. Il primo derby di Provedel è stato un monumento ai suoi piedi, alla sua freddezza glaciale, al suo coraggio nelle uscite. Forse una piccola sbavatura su un colpo di testa di Smalling, ma per il resto un derby clean sheet, chi poteva immaginarlo?
Concedetemi una nota: Ciro Immobile che ci tiene e va in panchina anche se non può giocare, e poi corre sotto la Nord, i festeggiamenti, la squadra compatta e unita, la coreografia meravigliosa. Fotogrammi di una serata indimenticabile per i laziali. Con un’osservazione che vi devo: dall’altra parte, si faranno tutti i sold out, ma somigliano sempre di più a quelli dello Juventus Stadium (o come si chiama, ho perso il conto degli sponsor). Tifosi di plastica, che, inquadrati dalle telecamere, sorridono e salutano mentre la loro squadra sta perdendo il derby. Un tempo si chiamavano occasionali, stanno sempre più diventando la normalità. Paganti, che si fanno 5-6 partite l’anno, non sanno i cori, faticano a capire cosa stanno facendo là, e si fanno pagare la coreografia dalla società. Se è questo il modello americano, mi tengo le amatricianate di Lotito.
Il derby è stato di gruppo, di squadra, di famiglia, più che di fioretto, di giocate, di tiri pericolosi. Ha vinto la squadra che ha avuto un episodio, ma anche quella che, con risultati a volte ottimi, a volte orribili, ha provato a costruire un minimo di percorso, di costrutto, di idee, di automatismi offensivi e di soluzioni che non siano “diamo la palla a quello forte”. La Lazio non ha avuto da insegnare in un derby complicato, in una settimana complicata, se non una cosa: come lo vogliono il derby i tifosi? Di cuore, di orgoglio, di forza, di grinta, di lotta. E questo la Lazio ha dato. E questo gli è bastato, non Ibanez.