Con Vincenzo D’Amico un altro pezzo di Lazio è volato in cielo. Perché dei tanti personaggi vestitisi di biancoceleste in 123 anni di storia, nei cuori dei tifosi i pilastri più grandi della lazialità sono senza dubbio tutti quelli passati negli anni ’70 e ’80. Un’epoca romantica e maledetta, che ha forgiato il senso di appartenenza di almeno un paio di generazioni. Un sentimento che si è tramandato fino a oggi, grazie al quale quelli come D’Amico sono e resteranno bandiere immortali per quello che hanno rappresentato, prima ancora che per quello che hanno fatto. E infatti oggi a piangerlo ci sono tanto i diciottenni quanto gli ultrasessantenni.
DALLA GLORIA AL BARATRO – Vincenzo raggiunge quindi gli altri ex compagni campioni d’Italia nel ’73/’74, Pulici, Wilson, Re Cecconi, Frustaluppi e Chinaglia. Quell’anno fu nominato anche miglior giovane della stagione. In carriera poi ha seguito le orme di quella banda di matti che era il gruppo di Maestrelli. Due infortuni ne condizionano il rendimento. Poi diventa capitano nel ’79/’80, trascinando la squadra alla salvezza sul campo. Lo scandalo calcioscommesse renderà tutto vano. Lui non vuole andare via e infatti dopo un solo anno al Torino, nella stagione ’81/’82 torna e aiuta la squadra a salvarsi dalla Serie C. Leggendaria la sua tripletta contro il Varese, in un’Olimpico ormai rassegnato al baratro. Lui cambiò la storia e l’anno dopo portò la Lazio di nuovo in A. Il 26 febbraio segnò anche una doppietta alla Roma in un derby finito 2-2. I tabellini in realtà dicono che una delle due reti fu autogol di Di Bartolomei. Ma potrebbe mai dar credito a un freddo referto ufficiale, difronte ai racconti di chi le stracittadine le ha vissute in campo e sugli spalti?
SOLO PER PASSIONE – Vincenzino, come lo chiamavano tutti a Roma, per la Lazio ha letteralmente bruciato la sua carriera. Chiunque lo conoscesse è testimone come il suo talento immenso abbia preferito gettato tra le fiamme della passione e dell’amore per i colori biancocelesti. Si è messo al servizio di una causa persa come quella biancoceleste di quegli anni. Ha avuto il coraggio (o l’incoscienza) di legarsi a un club sgangherato, che faceva l’ascensore tra A e B, invece che cercare fortuna ad alti livelli. E lo ha fatto perché lui era un laziale, vero. E di questo i tifosi oggi parlano per conservarne il ricordo nel cuore.
Gli acciacchi fisici alla fine della stagione ’85/’86 lo costrinsero ad alzare bandiera bianca. Giocherà altri due anni in C2, alla Ternana, dove i tifosi – almeno così ha raccontato lui in tempi più recenti – gli cantavano: “D’Amico, D’Amico, sei tu il nostro Zico!“. A testimonianza del fatto che, al di là dei colori, passione, impegno, dedizione alla causa, sono i valori che ne hanno segnato ogni momento della sua vita.