Vinca il peggiore. Non è un auspicio, neanche una speranza, meno che mai un pronostico. Ma la situazione calcistica di Milan e Inter, finaliste domani sera della Supercoppa italiana, è talmente compromessa da dubitare almeno di due cose: che a vincere sia davvero il migliore e che il peggiore, cioé il più sfavorito, alla fine prevalga. Per orgoglio, caso, disperazione e mistero (“senza fine bello” avrebbe aggiunto il sommo Brera).
Vinca il peggiore è anche il titolo di un libro del mai troppo compreso e dell’assolutamente rimpianto Franco Rossi, uno che prima della scuola giornalistica, aveva frequentato quella insostituibile del marciapiede. Da anni ci manca il gusto dei suoi paradossi, spesso controdeduttivi. Bastian contrario per vocazione, aveva capito che la vita e il calcio sono tutto un grottesco congegno ben lungi dall’essere governato. E lui li raccontava come un Oscar Wilde metropolitano, aforista ed esteta allo stesso tempo.
Chiedersi, dunque, e chiedermi chi vincerà questa finale non è sbagliato, ma profondamente inutile. C’è da dire che il Milan viene da una striscia di risultati allarmanti, ha salutato – al pari dell’Inter e della Juve – il sogno scudetto, è immerso in un labirintico percorso di redenzione, ha poco più che gli uomini contati, percepisce che, dopo l’eliminazione dalla Coppa Italia, c’è urgenza di un risultato di prestigio. Vincere il derby di Riyad e portare a casa un trofeo aiuterebbe, ma ci vuole un’alzata d’ingegno, un colpo di vento o una giocata. Ritrovare il filo del discorso, abbandonato nei dieci minuti finali con la Roma, sembra un esercizio complicato. Il gioco si è smagnetizzato, l’intensità si è ridotta, l’attenzione quasi del tutto scomparsa. Il primo tempo di Lecce è stato spaventoso non solo perché il Milan stava perdendo per 2-0, ma perché il dominio dei salentini appariva totale. Può una squadra sconclusionata ritrovarsi nel giro di quattro giorni? Secondo me, no. Ma questo – come detto in premessa – non significa che non possa vincere.
Perché l’Inter non sta meglio, ha qualche fragilità in mezzo al campo (non ci sarà Brozovic e, per me, questo è sempre un problema per quanto Calhanoglu supplisca con efficienza), ormai si è rassegnata ad un Lukaku dimezzato (non ci sarà, almeno dall’inizio), è disturbata dalle prospettive di mercato. Tutti hanno capito – da come parla Marotta – che Skriniar se ne andrà (anche se in estate), i limiti di De Vrij sono ormai delineati, Bastoni non convince più come prima. Del resto, ci sarà una ragione se l’Inter è tra le prime sette (e non solo) quella che ha subito più gol. Per fortuna che c’è Acerbi, per il quale avevo speso un endorsement e sul quale gravava lo stolido dubbio di massa (interista ovviamente) che fosse di simpatie rossonere. Ora – mi chiedo – cosa sarebbe la difesa dell’Inter senza di lui?
Si dice che il calcio di Simone Inzaghi (specialista in vittorie secche, attenzione, i suoi trofei sono arrivati solo così) sia difesa a cinque, rinuncia ad un uomo per costruire, valorizzazione del contropiede, stucchevole fase di attesa. Tutto vero con una precisazione: non mi sembra che Conte giocasse un calcio tanto diverso, se non per l’intensità. Abbiamo capito che non piace ad Arrigo Sacchi e, probabilmente, neppure a troppi tifosi interisti, soprattutto per come è stato buttato lo scudetto dell’anno passato, ma non si può negare che aiuti a vincere.
Sono convinto che domani sera le due squadre non penseranno a giocare con qualità e manovra, ma a vincere in qualche modo per uscire dalla mediocrità che si è abbattuta su entrambe in una stagione che rischia di declassare chi, alla fine, non si consolerà nemmeno con qualche trofeo alternativo allo scudetto. La Supercoppa non pesa tanto, ma sposta tantissimo. Chi la vince è felice e, anche se fosse il peggiore, non se ne curerebbe per nulla. Questo oggi è il calcio italiano e la Supercoppa non può fare eccezione