Sono cambiati i tempi, sono profondamente mutati gli equilibri geo-politici e soprattutto finanziari e oggi il nostro è un calcio di periferia. Un calcio che non può permettersi di corrispondere determinati ingaggi e che, nella migliore e più logica delle ipotesi, è condannata a perdere i propri migliori giocatori confidando nell’ipotesi di monetizzare al meglio queste dolorose rinunce. Il player trading, che l’Inter ha già sperimentato a più riprese in questa fase sempre più decadente della presidenza Zhang, diventa una scelta obbligata per provare a mantenere un passo accettabile e non uscire del tutto dalla cartine geografiche. La perdita di certi campioni senza incassare nemmeno un euro diventa oggi un danno troppo importante per le casse sempre più disastrate dei club di casa nostra, oltre che un danno di immagine irrimediabile.
Che Milan e Inter possano vedere trasferirsi all’estero il portiere della Nazionale campione d’Europa – nonché miglior giocatore di Euro 2020 – e un centrocampista rivelatosi determinante per la conquista dell’ultimo scudetto o due fuoriserie come Perisic e Skriniar senza battere ciglio, ma soprattutto senza passare all’incasso, è francamente inaccettabile. Perché dietro a questi casi specifici ci sono anche delle gestioni quanto meno discutibili dei dirigenti chiamati a far quadrare i conti sia dal punto di vista finanziario che sportivo, mantenendo più o meno intatta la competitività tecnica delle rispettive squadre. Se Donnarumma e Kessie da una parte e Perisic e Skriniar dall’altra sono oggi lo specchio di una Milano del calcio non più da bere, ma palesemente bevuta, anche Maldini e Marotta – che hanno preferito prolungare all’infinito, con pochissimi margini di riuscita, le trattative per provare ad ottenere i rinnovi di contratto – qualcosa hanno sbagliato. Forse anche più di qualcosa.