Al di là dei risultati, che nell’ambiente rossonero ci sia qualcosa che non va è evidente. Fin troppo. Dal post Covid in poi, fino alla scorsa estate, c’era la sensazione che il Milan fosse una squadra con la S maiuscola. Poteva vincere, perdere o anche straperdere, ma lo spirito di gruppo e la serenità di fondo non mancavano mai.
Addirittura, lo abbiamo capito il giorno dell’esonero di Paolo Maldini, tante tensioni, divisioni e rivalità in seno alla società, erano rimaste ben celate e controllate in nome del fine ultimo, che era ed è sempre stato il bene del Milan.
Esattamente il contrario di quello che sta accadendo in questo primo scorcio di stagione che ci ha offerto un Milan potenzialmente fortissimo, ma tremendamente altalenante, teso e disunito. Stavolta non ci occupiamo delle questioni tecniche, dove Pioli è stato lasciato solo, anzi promosso come “head coach” e signore supremo di Milanello, dimostrando di non sapere sopportare il peso di un ruolo del genere. Non ci occupiamo nemmeno delle tensioni, che sono sfociate in campo in episodi di irrequietudine e polemica interna che non si erano visti nemmeno nelle peggiori edizioni del Milan degli ultimi 30 anni.
Non ci riferiamo solo alle sostituzioni palesemente contestate, ma anche al fatto che per esempio la squadra rossonera sia attualmente seconda in Serie A per numero di cartellini. E se anche un giocatore navigato ed esperto come Giroud si becca un “rosso” per proteste e salta due giornate lasciando l’attacco del Milan nelle mani di Jovic, la situazione è molto grave. A questo proposito, piccola parentesi, ho letto qua e lá amene giustificazioni per il gesto del francese. No ragazzi, quello che ha fatto Giroud a Lecce non sta nè in cielo nè in terra: non puoi farti espellere per proteste per un fallo al limite dell’area insultando l’arbitro e rischiando addirittura una maxi squalifica. Un professionista non lo deve fare perché reca alla propria squadra un danno ingente. E se la propria squadra ha solo lui come centravanti il danno diventa colossale.
Chiusa questa parentesi, apriamo il capitolo delle divisioni interne, evidenti, palpabili, fin troppo manifeste. Nelle ultime settimane abbiamo assistito a un autentico stillicidio dei preparatori e dei medici rossoneri per il tema dei numerosi infortuni. Sí certo, è vero, sono tanti, ma scusate ma se Pioli mette Musah terzino e il Milan si fa rimontare due gol a Lecce cosa c’entrano? Se Pioli si inventa il doppio centravanti e il Milan perde in casa con l’Udinese in quel modo, gli infortuni cosa c’entrano? E volutamente non ho citato Napoli perché l’ex squadra di Garcia (esonerato due partite dopo la remuntada sul Milan) sicuramente ha valori tecnici superiori a Lecce e Udinese. Ma volete dirmi che davvero è tutta colpa degli infortuni se il Milan non riesce a battere Lecce e Udinese?
Ma il problema è un altro. Che venga utilizzato l’alibi degli infortuni è un grande classico. Qui la novità è che vengono cercati i colpevoli degli infortunati numerosi. E i primi che li cercano sono Pioli e Furlani e lo fanno pubblicamente accusando (direttamente o tramite i media a loro “vicini”) medici e preparatori dei risultati deludenti. Ma come? I medici e i preparatori non fanno parte della squadra? Non vanno difesi? È brutto che vengano utilizzati come capro espiatorio per i risultati deludenti. In una squadra si vince e si perde tutti insieme, inclusi medici, preparatori, inservienti, magazzinieri. O almeno a Milanello è sempre stato così. Quando piovevano critiche durissime sull’operato di Milan Lab, la società era la prima a fare quadrato e a difendere i propri collaboratori, non li utilizzava per giustificare lo scarso rendimento. E questo è uno dei sintomi delle divisioni interne. Non tanto tra i giocatori, quanto all’interno della società.
A proposito di società: ho letto dappertutto che ci vuole Ibra perché per esempio a Lecce non c’era nessun dirigente in tribuna. Ma come? Invece di scrivere che non esiste proprio che a Lecce il Milan scenda in campo senza alcun rappresentante della societá si utilizza questo clamoroso “vuoto” per perorare il taumaturgico ritorno dello svedese? Tra Scaroni, Furlani, Moncada, il figlio di Singer, Cardinale a Lecce non c’era nessuno. Era bello quattro giorni prima fare tutti insieme la passerella in Champions League a S. Siro contro il PSG dello sceicco. Lecce di sabato è più scomoda e rovina il week end. Ma nessuno ha denunciato il fatto che almeno un dirigente aveva il dovere di accompagnare la squadra. Quante partite allo stadio ha saltato Galliani? Quante ne ha saltate Marotta? E la cosa molto divertente é stata l’invenzione delle scuse più banali per giustificare le assenze dell’uno o dell’altro. Roba che neanche alle elementari. Uno in America e va bene, l’altro a Londra e va bene, ma almeno loro due non sono dirigenti operativi. Ma gli altri? Uno a vedere i grandi campioni della Ligue 1, l’altro a Milano a parlare dello stadio e l’altro a Dubai a presentare una sponsorship. Guarda caso proprio il sabato pomeriggio, notoriamente negli Emirati tutte le grandi partnership vengono siglate il sabato pomeriggio. Ma io dico, se anche fossero vere tutte queste motivazioni, ma non potevate mettervi d’accordo e almeno uno si andava a fare sta trasferta in Salento? No, nessuno. Non sono stati capaci nemmeno di incastrare i loro impegni con l’agenda di Franco Baresi, anche lui impegnato in Cina per motivi di rappresentanza. E direi che non c’è bisogno di Ibra per ricordare a questi signori che se fanno i dirigenti del Milan è bene che siano sempre presenti in tribuna quando gioca la squadra. Fa parte dei loro doveri professionali, credo.
Concludiamo proprio con Ibra. Io sono strafavorevole al ritorno dello svedese. Come, credo, gran parte dei tifosi milanisti. E, penso, anche Pioli sarebbe sollevato e felice di farsi aiutare una seconda volta da Zlatan, come era accaduto dopo la cinquina di Bergamo nel 2019. All’epoca Pioli non si sentì sopraffatto o esautorato e nemmeno questa volta avrebbe problemi. La squadra men che meno. Anzi, sarebbero tutti felici, dopo aver perso Maldini, di ritrovare un leader carismatico ossessionato dalla vittoria. Il punto è che qui, chi non appare convinto è proprio Ibra. Lo svedese nel 2019 era tornato al Milan convinto da Boban e Maldini. Che non ci sono più. Evidentemente c’è qualcosa che non convince fino in fondo lo svedese in questo progetto societario. Altrimenti avrebbe giá accettato. E forse quello che non lo convince è proprio la mancanza di unità di intenti e le grandi divisioni interne. Che Ibra conosce meglio di tutti.
Cardinale vuole a tutti i costi Ibra, ma Furlani no. Non lo voleva da giocatore (come da deposizioni di Massara e Maldini nel corso della causa Boban presso il Tribunale di Milano) e non lo voleva a giugno da dirigente. Lo si percepisce anche nella reazione davvero poco entusiasta alla domanda su Ibra nell’intervista che rilascia prima del pranzo Uefa pre Champions. La conferma arriva dal fatto che la proposta di Cardinale allo svedese non è una poltrona in via Aldo Rossi, bensì il ruolo di consulente esterno. Ma come? Chiediamo a Ibra di tornare a far parte del Milan e poi non gli diamo un ruolo all’interno dell’organigramma? E poi gli proponiamo di andare a Lecce al posto dell’amministratore delegato? Ma con che ruolo? Sapete che un “consulente” non tesserato non può nemmeno stare in panchina o entrare negli spogliatoi all’intervallo a strigliare la squadra? Ora alla luce di tutto questo, capiamo perché Ibra non ha ancora accettato questo ruolo. Dovrebbe costruire l’unitá della squadra senza nemmeno far parte della società. E dovrebbe farlo senza disturbare troppo questi dirigenti che non lo volevano da giocatore e ora lo accettano solo come consulente. Ma voi al posto di Ibra accettereste queste condizioni?